pellegrinaggio in Terrasanta
...ho avuto sete e mi avete dato da bere... (Mt 25,35)
Perchè andare in terra santa? Perché é un pellegrinaggio a piedi e... in terra santa!
Letta la proposta dell'associazione triveneta amici di Santiago, l'idea mi è piaciuta e, d'impulso, mi sono detta :'Vai!'
Ho riflettuto poi, sul perché della mia decisione, sulle motivazioni che mi avevano spinto a quella decisione.
Già da alcuni anni mi soffermavo a leggere le varie proposte dei pellegrinaggi diocesani in quella terra ma non avevo mai preso in considerazione l'eventualità di parteciparvi.
Il motivo c'era: aspettavo l'occasione giusta per me. Ed era arrivata.
Il programma non proponeva un tour culturale, storico, artistico, una vacanza diversa in una terra che non conoscevo ancora, ma presentava un pellegrinaggio a piedi.
Per chi crede, andare in terra santa è il ritorno alle origini.
Desideravo infatti 'tornare' là dove tutto è cominciato. E pensavo proprio al 'tornare' non all'andare perché quella terra è la nostra terra di origine cristiana. Quella terra è unica al mondo, lì Dio si è rivelato e Cristo è nato, vissuto e morto per noi.
I monti, le strade, il deserto, tutto ci invita a raccogliere il messaggio spirituale fonte della nostra fede.
Con questo spirito e con queste motivazioni sono partita e ho vissuto giorno dopo giorno il cammino.
Andare a piedi comporta sacrificio e fatica ma è di una intensità spirituale unica.
Andare a piedi vuol dire rallentare, riflettere e pregare: rallentare tutti i nostri ritmi di vita e aver quindi il tempo per gustare la bellezza dei luoghi, riflettere sui luoghi, sulla storia che quei luoghi hanno visto, sulle persone che hanno fatto quella storia, pregare per ringraziare della vita che abbiamo gratuitamente ricevuto e che viviamo.
Il cammino in sé, per me, è già preghiera ma il camminare non deve essere fine a se stesso, l'arrivo nei vari luoghi è un momento importante e vi è la necessità di fermarsi per avere il tempo di meditare, riflettere, avere il tempo per conoscere quel paese, quel luogo.
Questo comporta che le tappe siano percorribili in tempi che poi permettano di fermarsi e di 'gustare', ognuno a modo suo, ogni meta. L'arrivo non è solo riposo dalla fatica ma è consapevolezza di sé in quel luogo.
La preghiera ci ha sempre accompagnati, aiutati nella prima settimana da due sacerdoti: padre Leone e don Francesco. La loro partenza si è sentita in modo particolare!
Il percorso ci ha permesso di 'entrare' in alcuni episodi del Vangelo.
Prima tappa: Nazaret con la basilica dell'Annunciazione dove la scritta 'Qui il verbo si fece carne' ci fa cogliere l'immenso amore di Dio per noi.
Ero in quel luogo, in quegli anni lontani ma io li sentivo così vicini e reali da immaginare la 'ragazza' Maria che, pur spaventata e incapace di comprendere ha avuto fiducia e ha saputo dire sì. Il suo sì è stato l'inizio della nostra salvezza.
Quanto sappiamo dire sì, sì alla realizzazione del progetto che è in noi?
Monte Tabor: la bellezza del paesaggio riflette e manifesta il desiderio di Pietro di rimanere lì per sempre.
La camminata fino a Tiberiade tra la natura, la strada asfaltata e il sole splendente, non rappresentando grosse difficoltà, ha permesso lo scambio di pensieri e di osservazioni tra i pellegrini che hanno iniziato così a conoscersi. Si è dissipato, in parte, il normale riserbo tra persone che non si conoscevano. Si sono manifestate le diverse modalità di cammino, di forza e di preparazione. Si è potuto osservare l'alternarsi dei gruppetti di pellegrini che camminavano fianco a fianco e, come ci fosse tra alcuni una particolare sintonia.
L'arrivo dall'alto ci ha permesso di godere della bellezza della città affacciata sul lago. Il panorama ci risollevava dal caldo e dalla sete.
Il giorno successivo ci aspettavano luoghi speciali: Cafarnao, il monte delle Beatitudini, Tabgha.
Sergio, con grande pazienza, ci portava all'epoca di Gesù leggendo la guida e gli episodi evangelici che i vari luoghi ricordavano: 'la moltiplicazione dei pani', 'la pesca miracolosa', 'il discorso della montagna'. Abbiamo visitato i vari santuari e abbiamo partecipato alla S. Messa, celebrata per noi dai nostri sacerdoti.
Nel pomeriggio seduti nel parco del santuario delle Beatitudini abbiamo letto il discorso di Gesù raccontato dal Vangelo di Luca (6,17-49): momento di riposo per il corpo e di riflessione per l'anima. Abbiamo goduto della pace del luogo pur con la presenza di pellegrini e di turisti.
Il tragitto in autobus tra Tiberiade e Gerico ha compreso la fermata a Yardenit sul fiume Giordano dove si ricorda il battesimo di Gesù. Per me è stata una delusione. Quello che risaltava del luogo era la sua commercializzazione.
La lunga strada asfaltata tra zone desertiche e coltivazioni consolidava l'idea agli organizzatori che non era una tappa proponibile da percorrere a piedi, non solo per la lunghezza ma anche per la difficoltà dovuta al caldo e ad una continua esposizione ai raggi del sole.
Siamo arrivati a Vered Gerico all'ora di pranzo, non si vedevano persone ad eccezione dei soldati del posto di controllo all'entrata. E' un piccolo centro israeliano su un'altura, circondato da un'alta recinzione di filo spinato. Le strade assolate fiancheggiate da piante aromatiche e da oleandri, le case ad un piano, i piccoli giardini e l'abbaiare dei cani ci hanno dato il benvenuto; il paese sembrava disabitato, sembrava quasi un paese fantasma. Solamente verso sera, quando l'aria si è fatta più respirabile, si è animato: si sono visti i bambini giocare e gli abitanti muoversi.
Il caldo, l'oppressione del clima, sapermi chiusa all'interno di una recinzione, tutto contribuiva a far emergere tristi riflessioni.
A Vered Gerico abbiamo trovato ospitalità presso la famiglia della signora Iris che ci ha consigliato un piccolo ristorante dove pranzare e ci ha offerto l'uso della cucina per la sera.
Un piccolo drappello di pellegrini ha fatto un'escursione a Gerico per l'acquisto del cibo; Anna, Dima e Roberto si sono adoperati per preparare la cena all'italiana e bandire i tavoli preparati in giardino tra le piante aromatiche. Si è, poi, programmata la giornata seguente. Il gruppo di pellegrini si sarebbe diviso. Alcuni andavano in autobus a Gerusalemme per poter andare a visitare Betlemme prima del rientro in Italia, mentre gli altri avrebbero percorso a piedi lo Wadi el- Kelt per 15/18 Km e poi avrebbero raggiunto Gerusalemme in taxi.
Partenza prima dell'alba per poter percorrere un buon tratto di cammino prima che il sole bruciasse troppo.
Lo spettacolo del deserto e della natura che vive nel deserto era stupendo: la gola profonda, le pareti bianche scoscese, i piccoli cespugli riarsi sul fondo, le grotte, le rocce appuntite, le montagne rossastre, il cielo bianco, il sentiero impervio vedevano il passaggio di noi pellegrini stanchi ma allegri perché condividevamo tutto ciò.
L'arrivo ad una grande pozza d'acqua fresca su cui si gettava una cascatella invitante è stato salutato con grande gioia da tutti e qualcuno ha approfittato per fare il bagno e rinfrescarsi. Le grida e i giochi dei pellegrini si confondevano con le grida e i giochi di alcuni bambini che più avanti, nel torrente si divertivano a bagnarsi e a spruzzarsi d'acqua.
Arrivati alla strada e preso il taxi pensavamo già a Gerusalemme dove ci siamo ritrovati con gli altri.
La sera stessa, dalla terrazza del nostro alloggio abbiamo potuto ammirare una panoramica della città che avremmo iniziato a visitare l'indomani.
La sosta di tre giorni ci ha permesso di godere di molti luoghi particolarmente significativi: il Santo Sepolcro, la basilica della Resurrezione con le sue cappelle, il monte degli ulivi, la chiesa 'Dominus flevit', la basilica del Getsemani, il Cenacolo, la basilica della Dormizione di Maria, la porta di Sion, la tomba di Davide, la porta di Giaffa, la porta di Damasco, il muro del pianto e molto altro.
Momenti particolarmente intensi dal punto di vista spirituale sono stati la celebrazione della S. Messa all'interno del S. Sepolcro e la liturgia della via Crucis. Abbiamo percorso insieme, pregando le 14 tappe della via Dolorosa.
La folla di turisti, purtroppo, rendeva i luoghi santi troppo rumorosi e difficoltoso era il raccoglimento e la preghiera.
Giovedì:
; abbiamo salutato con tristezza i pellegrini che dovevano rientrare in Italia; eravamo consapevoli che avremmo sentito la loro mancanza: don Francesco e padre Leone che ci aiutavano nelle riflessioni e nelle preghiere, Roberto che disponibile e attento aiutava tutti, Anna che con grande dolcezza ci parlava della sua nipotina per la quale sta scrivendo racconti pieni di amore, Dima che ama il canto, Isaia che è ricco di vitalità, Marino che ha immortalato ogni istante del pellegrinaggio con la sua macchina fotografica.
Grazie a voi compagni di 'viaggio'!
La Gerusalemme moderna ci offriva due importanti visite: il museo del libro e lo Yad Vashem: il museo della Shoah.
Quest'ultimo è un'opera che si avvale delle più moderne forme di comunicazione multimediale: i lampioni, i binari del tram, i suoni che si ascoltano sono gli stessi del ghetto di Varsavia. Chi lo visita ha un'esperienza sensoriale della Shoah ed è completamente coinvolto. Si parte sperimentando la vita quotidiana del ghetto, l'attenzione è catturata dalle testimonianze personali: gli schermi trasmettono in continuazione i racconti di alcuni sopravvissuti. Si arriva alla sala dei nomi, un ambiente circolare che ospita le notizie sulle vittime con milioni di nomi. Vi sono anche spazi vuoti per tutti gli altri di cui non si conosce il nome. All'uscita dal prisma ci siamo trovati di fronte ad una veduta panoramica della Gerusalemme moderna.
L'escursione in bus a Masada ci ha permesso di ritornare al tempo dei Romani. Masada infatti è il luogo dell'epico assedio agli Ebrei ribelli alla conclusione della grande sommossa contro Roma di quasi 2.000 anni fa. Durante il viaggio abbiamo potuto ammirare il Mar Morto, il mare più salato e più basso del mondo.
E' venuto poi il momento di lasciare Gerusalemme per avviarci alla cittadina di Betlemme, dove è nato Gesù. Betlemme per me è sempre la piccola grotta del presepe. Mi riporta ai racconti della mamma, ai Natali della mia infanzia quando la nonna indicandomi il presepe che si preparava in cucina mi raccomandava di non lamentarmi e di essere sempre felice e grata di tutto. E lo ero!
Nel mio immaginario nulla doveva essere diverso! E invece i posti di blocco, il muro che la separa, le difficoltà che ci sono e si vedono camminando per le strade, tutto sembra voler cancellare ciò che quel luogo ci testimonia: Gesù si è fatto uomo per noi.
L'ospitalità delle suore Brigidine è stata unica, non tanto per l'ambiente decoroso, pulito e il cibo buono ma per l'ospitalità che ci hanno offerto. L'accoglienza è andata oltre all'offrirci ciò che era necessario per il corpo. Ci hanno accolto con amicizia e oserei dire con affetto.
La madre superiora ci ha aperto il suo animo sull'esperienza vissuta della guerra, ci ha raccontato del loro ordine, della fondatrice e della vita in comunità. La giovane suora che ci serviva la cena ci ha parlato del suo noviziato a Roma, della bellezza di essere lì in quel luogo.
La S Messa alla chiesa dei Crociati in lingua araba il sabato sera, la S. Messa alla grotta della Natività alle 5.50 del mattino in lingua slovena sono stati due esperienze concrete di ecumenismo. Mi sono sentita a casa!
Abbiamo visitato i luoghi cari alla tradizione cristiana: la Basilica della Natività la grotta del latte, il campo dei pastori, il monastero di S. Teodosio, il monastero di San Saba.
Lunedì 27 aprile siamo usciti da Betlemme e ci siamo avviati ad Ain Kerem. Il tragitto a piedi è stato facile e tranquillo, abbiamo recitato insieme il rosario attraversando alcuni quartieri della Gerusalemme moderna.
La tappa ad Ain Kerem, forse è stata quella che si ricorda più per gli inconvenienti avuti che per il luogo in sé.
Arrivo e sistemazione nell'ostello francescano dove abbiamo vissuto una spiacevole esperienza.
Abbiamo visitato la chiesa di S. Giovanni e solo esternamente la chiesa della Visitazione. Cena a base di biscotti e patatine acquistate nell'unico negozio aperto per la festa della liberazione che si celebrava con una cerimonia nel cortile della scuola del paese.
A letto presto perché il giorno seguente ci aspettava una tappa piuttosto lunga e impegnativa. Si andava a Latrum.
Il cammino tutto un sali scendi si snodava tra i boschi e le coltivazioni di ulivi e di viti. L'amarezza per quanto accaduto con l'economo dell'ostello francescano e per la divergenza di opinioni su come gestire il fatto con alcuni compagni di viaggio non mi hanno permesso di apprezzare fino in fondo la bellezza dei luoghi. L'arrivo al monastero di Latrum solamente dopo l'orario di chiusura ha concluso la giornata.
L'accoglienza delle ospiti della Comunità delle Beatitudini dove abbiamo dormito la notte ha contribuito a rasserenare il mio animo.
'Dare da bere agli assetati' e noi lo eravamo. Ecco le suore accompagnarci nella sala mensa ed offrirci una tisana fresca, dissetante! Ci hanno comunicato l'orario della celebrazione dei salmi e della cena che abbiamo condiviso con loro.
Il mattino successivo, visitati i resti della chiesa ortodossa che si trovano all'interno del parco della comunità stessa, ci siamo avviati verso Ramla.
Lungo il tragitto, completamente su strada asfaltata, abbiamo visitato il museo della guerra e ciò, se era ancora necessario, ha rafforzato la triste
realtà del paese, un paese perennemente in stato di allerta, un paese in guerra. In ogni tappa abbiamo potuto sperimentare tale situazione che a noi creava disagio ma sembrava molto naturale per gli abitanti.
Famiglie con bimbi piccoli, giovani, meno giovani si recavano numerosi al museo della guerra; guardie armate dovunque e i bimbi con fucili e pistole giocattolo erano la normalità.
Il percorso fino a Ramla è per me stato faticoso: sole, asfalto, auto, stanchezza, male ai piedi. Il pranzo, per fortuna mi ha ricaricata un pò. In taxi poi fino a Yaffa dove abbiamo visitato la chiesa di S. Pietro. Trovato alloggio in ostello ci siamo sistemati per la cena che abbiamo fatto in un locale caratteristico.
Si era all'ultima sera. I pellegrini pensavano al rientro, chi con nostalgia, chi con tristezza, chi con sensazioni contrastanti.
Il mattino successivo all'alba in riva al mare ho ripensato ai giorni trascorsi, alle esperienze fatte; ho rivisto i momenti speciali vissuti con i compagni di viaggio: padre Leone, don Francesco, Sergio, Paolo, Paolo Boetto, Marino, Giulio, Bruno, Roberto, Anna, Isaia, Dima.
Mi sono sentita più 'ricca', avevo accumulato esperienze, sentimenti, pensieri, amicizie che mi avrebbero accompagnato nel proseguo della vita.
Nulla avviene per caso ed ogni persona che si incontra ci dona qualcosa che rimarrà per sempre.
Manuela Ceola