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In Terra Santa


gli antefatti

Vengo da una parrocchia dedicata all'apostolo San Giacomo maggiore. Monselice fuori città aveva fatto nascere un ostello (qualcuno lo chiamava xenodòkio = casa per ospitare), gestito prima da volontari, uomini e donne, poi da un ordine religioso misto, pur convivendo sotto un unico tetto e dove nel milleseicento arrivarono i francescani. Il 25 luglio (festa di San Giacomo) del 1983 mi era stato chiesto se ero disposto a servire come parroco la parrocchia di San Giacomo in Monselice. Diedi la mia disponibilità solo perché mi sembrava significativa la coincidenza. Al mio 250 anno di sacerdozio, nel 1996, chiesi di potermi recare a Santiago di Compostela a piedi, partendo da Saint Jean Pied de Port, prima di Roncisvalle, lungo un percorso di circa 750 kilometri. Poi venne l'anno giubilare del 2000: mi recai a piedi a Roma, partendo da Monselice, ma nel tentativo di cominciare un solco che portasse altri pellegrini a piedi alla tomba di Pietro e di Paolo.
Nel frattempo a ridosso di queste esperienze si era costituita una associazione nominata: "Amici di Santiago per le antiche vie dello spirito" legata ad altre associazioni con gli stessi interessi. Questo ci permise anche di restaurare un pezzo del convento ed attrezzarlo ad ostello per pellegrini che, andando a Roma o a Santiago de Compostela fossero transitati per Monselice. Nel frattempo tanti "amici di Santiago" si muovevano verso Santuari, scoprivano antichi ostelli, antiche chiese e immagini legate agli antichi cammini verso i luoghi classici del pellegrinaggio. Anche qui nel Friuli vi sono diverse chiese che raccontano il passaggio dei pellegrini verso Santiago di Compostela: anche a Spilimbergo, anche a San Martino al Tagliamento, per non andare troppo lontani.
Un nostro socio era partito lo scorso anno per Gerusalemme in bicicletta, riportando il desiderio di proporre ai soci l'esperienza. Cosa che fu subito raccolta e studiata. Il nostro scopo, oltre che compiere il pellegrinaggio per eccellenza, recandoci al Santo Sepolcro, cioé all'unico sepolcro vuoto, al luogo della risurrezione e della vita divina, era quello di rifare un solco antico, sulle orme dei tanti pellegrini cristiani, praticabile da singoli, da piccoli gruppi, da famiglie, secondo uno schema di pellegrinaggio semplice, povero, pacifico, a piedi, chiedendo umilmente ospitalità ove fosse possibile.

la partenza

monasterosgiovanniindeserto E siamo partiti. Eravamo 12, come gli apostoli. Quattro da Fanna, uno da Castel Tesino, uno da Venezia (che già vi era stato in bicicletta), un frate da Marghera (il nostro giovane economo provinciale), una coppia da Verona, un signore di Padova e due da Monselice. Abbiamo usato dell'aereo, come una volta usavano le navi che partivano da Venezia o da Brindisi... Questi sono i luoghi toccati: Ramlah, il paese di Nicodemo (il fariseo che andò da Gesù di notte per timore dei suoi colleghi) e di Giuseppe di Arimatea, (il fariseo che chiese a Pilato il corpo di Gesù e lo depose nel sepolcro nuovo, di sua proprietà). Lì dormimmo per terra, in un convento antico, dove anche Napoleone aveva dormito (si raccontava che disturbato nel sonno dal muezzin gli sparasse, uccidendolo), accolti in modo cordialissimo da un frate arabo e da una giovane suora polacca.
Il giorno dopo ci trasferimmo presso il convento cistercense di Latrun (la tradizione dice che fosse il paese del 'buon ladrone', Disma): visitammo il convento e la chiesa e scoprimmo che la foresteria del convento era attrezzata proprio per ricevere pellegrini che si recano a Gerusalemme. E da lì iniziammo la lunga salita verso Ain-Kerem, paese dei cantici, del Magnificat e del Benedictus: é il paese di Giovanni Battista, di sua padreleone madre Elisabetta e di suo padre Zaccaria. Paese verso il quale camminò in fretta Maria, proveniente da 150 kilometri più a nord, da Nazareth per andare a visitare la cugina Elisabetta.
Vi giungemmo a piedi anche noi, attesi presso il convento di San Giovanni Battista in Deserto: un conventino aggrappato alla parete di una montagna, in solitudine (di notte si sentiva l'ululato degli sciacalli), dove il Battista sarebbe cresciuto in solitudine.
Ci accolse anche qui un frate cileno, con entusiasmo e carità. Eravamo stanchissimi. La notte ci aveva addirittura sorpresi e ci eravamo smarriti, perché partiti troppo comodamente al mattino. Ma il luogo solitario, austero, già ricco di abbondanti riferimenti evangelici, ci fece dimenticare stanchezze e lamenti ed entrammo così nella autentica veste di pellegrini: felici di esserci, felici di camminare, felici di venire ospitati, felici della frittata, della pastasciutta preparata da un signore di Roma che faceva un servizio 'eremitico' in quel singolare luogo evangelico.
Il mattino iniziò proponendo subito nuove domande e difficoltà: é l'incertezza del camminare, é parabola della vita. Era previsto di andare a Betlemme, ma Betlemme significava entrare nello stato palestinese, incrociare il nuovo muro: non si poteva andare come potevamo credere. E allora salimmo verso Gerusalemme e di lì iniziammo il viaggio verso Betlemme, il paese dove Maria e Giuseppe salirono nel tempo del censimento e dove Maria diede alla luce il suo figlio, adagiandolo in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
lagrotta Terribile la visione del grande muro israeliano: un simbolo tragico e anche comico di una storia non riconciliata, della fatica di convivere, di mettere insieme culture e fedi. Dove qualche anno fa scorreva un fiume di automobili e pullman, ora si poteva camminare in centro strada. Attraversammo il muro, in un clima irreale, entrammo dall'altra parte: lì il muro é pieno di provocazioni, di sbeffeggi, di richiami ad altri muri e ad altri modi simili di definire i conflitti che la storia ha tragicamente prodotto. Si passa in silenzio, quasi pregando e chiedendo solo a Dio di cambiare il cuore degli uomini: lì é evidente che gli uomini questo non lo sanno fare.
Ed entriamo nella periferia di Betlemme: ci vengono incontro frotte di bambini, che giocano in mezzo a strade sporche, semideserte. I bambini musulmani stanno festeggiando la fine del Ramadan e in regalo tutti hanno ricevuto armi giocattolo. Ci vengono incontro fingendo di sparare: io alzo le mani e li costringo a sorridere. Ma la cosa sembra un po' più tragica di un gioco.
Sfilano intanto i pullman di tanti altri pellegrini organizzati. Di sicuro non si accorgono di queste cose, non sentono l'odore delle immondizie, il profumo delle spezie, non vedono il sorriso dei bambini, il saluto degli arabi che dicono Shalem, che dicono "benvenuti Italia". E' questo fa la differenza più evidente. Saliamo verso la basilica della Natività. Anche qui veniamo ospitati dai frati e dalle persone che girano attorno ai frati (custodi dei luoghi santi fin dal 1300) in modo ineffabile. Ci viene dato di celebrare la messa in una cappellina crociata e adorare l'incarnazione: la scelta di Dio di venire a visitare il suo popolo, di nascere da donna, di nascere a Betlemme, la città del re David, luogo di attesa e di desiderio, luogo di umile presenza di Dio. Qui l'incarnazione é qualcosa di più di un dogma di fede: é l'alternativa ad ogni altra fede. Islam ed ebraismo sorridono di fronte a questi racconti, impossibili da accettare: Dio é Dio, Dio non ha figli, Dio é unico, Dio non può essere carne. E noi lì a piangere e a cantare, nella scura grotta della Natività: "Tu scendi dalle stelle... Venite adoriamo il Signore che é nato per noi." Alla nostra voce sommessa si univano altri pellegrini, inglesi, tedeschi, spagnoli, francesi...: la nostra Europa lontana, che a sua volta ha smarrito il senso geloso della preziosità, della scandalosità della sua fede: Dio si é fatto bambino.
ilcenacolo Il giorno dopo, zaini in spalla, si riparte verso Gerusalemme. Ci allontaniamo da Betlemme con un senso di dolcezza: quasi avvertendo 'le viscere di misericordia' che Dio adoperò per visitarci in questo modo; quasi avvertendo il canto della moltitudine di angeli, di quella notte, lì sotto, verso il campo dei pastori, che raccontavano la buona notizia: "E' nato per voi un bambino, il vostro Salvatore".
Ripassiamo il muro: si entra in corridoi da incubo. Non si sa se si é al posto giusto. Non si vede nessuno. Ogni tanto si apre qualche porta. Finalmente riusciamo a passare. Siamo ancora in Israele. Già si profila davanti Gerusalemme.
Sul piazzale di un antico convento ortodosso, costruito in un luogo dal quale avrebbero tagliato l'albero della croce, recitiamo le lodi, mentre il sole si alza dal deserto infuocato, che é lì, subito di là della strada. Man mano che Gerusalemme comincia a mostrarsi cominciamo anche a recitare i salmi delle ascensioni, gli stessi che gli ebrei recitavano ogni qualvolta 'salivano a Gerusalemme' città della gioia, chiedendo pace per essa, per le sue mura, sicurezza nei suoi baluardi, pace su tutto Israele. Salmi che recitiamo commossi, quasi con le lacrime, avvertendo la crescita di una percezione complessa di questa città, ricca di preghiere, di fede, di umanità, di peccato: ma ricca soprattutto di Dio che in essa ha voluto abitare, così come Cristo ha voluto abitare la nostra carne, entrare addirittura nella nostra morte.
Eccola, di fronte a noi, illuminata dal bel sole del mattino. Ormai é una città moderna quella che ci viene incontro, ma dietro cominciano a farsi vedere le torri, le valli, quella del Cedron, della Geenna, la valle di Giosafat, quella del giudizio, lì ove ebrei e musulmani si fanno seppellire per essere più pronti nel giorno del risveglio.
padreleoneterrazza Entriamo dalla porta di Sion: siamo sul monte Sion, sul colle più elevato della vecchia Gerusalemme. Tocchiamo la basilica della Assunzione di Maria e subito entriamo nel Cenacolo: luogo dove il Signore celebrò la sua ultima cena con gli amici, dove ci insegnò ad amarci, dove lavò i piedi, dove promise il Consolatore, dove ci lascia l'Eucaristia, memoriale del dono di sé che egli qualche ora dopo avrebbe fatto dalla croce. Luogo delle prime apparizioni del Risorto, ai suoi; luogo della Pentecoste, del fuoco e del terremoto e dell'onda del soffio divino riversata su suoi. Leggemmo tutto questo, in un angolo del Cenacolo, seduti per terra: eravamo anche stanchi.
Poi salimmo sulla terrazza. Gerusalemme, sotto la serena luce del mezzogiorno, stava pregando: da tutti i minareti di Gerusalemme si alzava l'invito a riconoscere l'unico Dio, grande e misericordioso. Gli ebrei stavano festeggiando il sabato con canti ineffabili, pieni di un sussulto di gioia messianica. Le campane cristiane suonavano il mezzogiorno.
Era una città aperta al cielo, concava per accogliere Dio, la sua visita, la sua presenza, in mezzo alle sue creature, in mezzo al popolo della elezione, in mezzo al popolo che lo ha riconosciuto nella visita del suo diletto Figlio. Poi ci avviammo verso il luogo dove avremmo dovuto essere accolti, nei pressi del Santo Sepolcro. Pareva che nessuno ci aspettasse, nonostante il nostro avviso. Avrebbe dovuto interessarsi della nostra accoglienza, qualcuno che non c'era, che non sapeva niente. Eppure, ancora una volta, ne uscì la soluzione migliore: il dormitorio di un vecchio orfanotrofio, dove buttammo gli zaini e ci sentimmo a casa.
I giorni di Gerusalemme. Quante emozioni!
Ne riassumo qualcuna per non perdere la grazia specifica di quel viaggio, di quei compagni, di quei luoghi. dominusflefit Ci viene proposto di vivere rinchiusi per tre-quattro ore nella basilica del Santo Sepolcro, solo noi, o con altre pochissime persone, quella sera stessa. Si parte con un bel sì, ma poi qualcuno ci ripensa, esita: siamo stanchi, sono troppe le ore, "sono claustrofobo", cosa si fa per così tanto tempo... Diversi sembrano ritirarsi. Ma poi improvvisa la svolta: si va tutti, si va con gioia. Entriamo al Santo Sepolcro. Tutta la gente viene invitata ad uscire, come tutte le sere. Rimane normalmente solo chi intende rimanervi chiuso per tutta la notte; eccetto quel sabato sera, dove alle dieci e mezzo si riapre per accogliere altri gruppi particolari che passeranno la notte. Si doveva mantenere un sostanziale silenzio: non cantare, non muoversi curiosamente, all'interno della basilica.
Con buon istinto spirituale ci siamo organizzati: ai piedi del Calvario (luogo che é custodito dentro il perimetro della stessa basilica) abbiamo letto il vangelo di Giovanni, dai discorsi dell'ultima cena di Gesù, fino alla sua cattura, processi, condanna, crocifissione: (qui lo crocifissero, qui innalzarono la croce, qui stava sua madre, qui ci si giocava la tunica, qui ...) fino alla morte: qui emise lo spirito, dopo aver perdonato ai suoi, dopo aver dato speranza al buon ladrone, dopo aver posto lo spirito nelle mani del Padre...Qui il suo sangue bagnò la nostra terra, scese, per quella vena di roccia fino alla grotta di Adamo, che la tradizione vuole essere proprio quella che sta sotto il Calvario, sotto di noi. L'amore del Nuovo Adamo salva il vecchio Adamo e lo chiama a risurrezione...
E poi ci siamo spostati di fronte alla pietra dove fu deposto dalla croce: pietra oggi cosparsa di tanti profumi dai nostri fratelli ortodossi, baciata con affetto e pianto, pietra sulla quale furono deposte le carni martoriate del Figlio di Dio. Anche lì a leggere il racconto evangelico, richiamando alla memoria Nicodemo, Giuseppe di Arimatea, personaggi e geografia già visitata con i nostri passi.
Quindi ci siamo spostati di fronte al Santo Sepolcro. E' un parallelepipedo che sta al centro della basilica, con una piccola apertura. Si entra nella stanzetta dell'angelo, quello che alle donne avrebbe detto di non cercare lì il Risorto, di andare ad annunciare ai suoi che Egli é vivo. E di lì si entra abbassandosi, dentro il piccolo vano dove Gesù fu sepolto, dove la morte fu vinta. Attorno a quelle pietre abbiamo ascoltato anche noi la grande notizia, anche noi dentro la notte, dentro il silenzio, mentre il mondo sta facendo mille altre cose quasi ad avvertire che Lui sta facendo nuove tutte le cose, sta vincendo la morte e sta donando la vita divina ai suoi fratelli in umanità. E' certo che la lettura di quelle pagine in quel contesto, con quella tranquillità, é stata una esperienza unica. Sono state le tre ore più brevi della nostra vita, più piene, più felici, più invase dal cielo.
Quel sabato non celebrammo la messa: ma seguimmo il Signore nel suo andare alla morte e nel trascinarci verso la risurrezione. Il giorno dopo era domenica. Celebrammo invece in un altare accanto al sepolcro, mentre da qualche lato della basilica, dei martelli pneumatici stavano rompendo qualche pavimento nel corridoio accanto, il corridoio che ricordava l'apparizione non biblica - di Gesù Risorto alla Madre; mentre tanta gente in coda si accalcava di fronte all'ingresso del Santo Sepolcro. Il nostro era un altare molto esposto al passaggio di tanta gente: un altare dove i latini ricordano l'incontro di Gesù con Maria Maddalena. Gesù vestito da ortolano, Maria che piange e lo cerca. Mi pareva di aver celebrato una messa piena di distrazione e di rumore. Poi si quietarono i martelli e ci fu permesso di trasmetterci il brivido della risurrezione, dell'incontro con il Risorto.
La notizia parte di qua: e noi siamo i credenti che si raccontano la vittoria sulla morte, partendo dall'esperienza di un sepolcro vuoto, dalla testimonianza di una donna che piange, che lo confonde, che sente pronunciare il suo nome e lo incontra.
Molto bella anche la Via Crucis: dentro quei vicoli rumorosi, sporchi, pieni di gente, con la merce delle bancherelle che restringe anche il passaggio... noi lì a d accompagnare il Signore che condannato a morte sale portando la sua croce, incontra sua madre, cade, incontra il Cireneo, le donne che piangono... Qualche 'stazione' non siamo riusciti a trovarla dentro quella confusione.
Ma noi eravamo lì, spontaneamente, a pregare, a cantare: noi dodici, senza paura, con la stessa disinvoltura di chi stava vendendo spezie o CD. Noi a raccontare di un amore che continua a commuovere il mondo , come ha commosso noi in quei giorni e non solo.. In Gerusalemme, per brevità, abbiamo visitato altre cose: la chiesa di Sant'Anna, Madre di Maria; la chiesa della Dormizione; la basilica dell'agonia nell'orto del Getsemani, la chiesa di san Giacomo, a noi cara, tenuta dagli Armeni (ma era sempre chiusa); la chiesa della Flagellazione, la spianata del tempio (dopo la storica provocazione di Sharon non é più possibile entrare nelle belle moschee della bellissima spianata), il Dominus flevit (luogo dove Gesù avrebbe pianto guardando Gerusalemme ostinata ed incredula)... sangiorgio
Il penultimo giorno scendemmo nel deserto: 20 kilometri di sole ardente, di sabbia, di wuadi pauroso, per scendere nella buca della terra, nella città più antica del mondo, conquistata da Giosue e dalle sue truppe quando gli ebrei, uscendo dall'Egitto, si affacciarono sulla terra dei loro antichi padri. Quel deserto raccontava i discorsi di Gesù: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico...". Gesù, a Gerico, incontra Zaccheo, guarisce un cieco... E noi incontrammo pure lì la carità di un bravo frate, interessante e strano, ma dal grande cuore. Alla fine padre Stefano, un frate veneto che sta studiando da diversi anni all'Istituto Biblico di Gerusalemme, ci combina un incontro con il Custode.
Il Custode conta più del patriarca di Gerusalemme, ci dicono. I capi di stato per trattare cose serie, trattano con lui, diretto mediatore diplomatico per chi vuole trattare con la Santa Sede. E' un frate giovane e molto intelligente. Il custode é il superiore dei frati chiamati dalla santa sede a 'custodire i luoghi santi', servizio offerto a tutta la cristianità da tanti secoli, con amore e con una fedeltà che spesso ha incontrato l'esperienza del martirio.

esito

Al Custode raccontiamo il nostro viaggio, ma soprattutto l'intento di riprendere il solco dei pellegrini antichi, facilitando, anche per tanti nostri "amici di Santiago", questa opportunità, dimostrandone la possibilità e la bellezza.
Il padre Custode capisce immediatamente la cosa. "Magari si moltiplicassero i pellegrini come voi, per i quali la Custodia si dimostrerà sempre accogliente, perché questo é il senso della bolla pontificia che ci chiese di accogliere i pellegrini, di custodire i luoghi santi e di animare le piccole comunità cristiane presenti in quel territorio. A volte abbiamo l'impressione di essere pedine delle agenzie turistiche. Con voi é diverso".
Ha firmato la pergamena nella quale siamo stati riconosciuti pellegrini, ha dato ad ognuno la Croce di Terra Santa : una croce grande inserita fra quattro piccole croci. Un incontro che ha segnato il massimo dell'accoglienza per noi.
L'ultima sera: sistemati gli zaini, riordinato il dormitorio, siamo saliti sulla terrazza dove tutte le sere andavamo a contemplare Gerusalemme. La cupola del santo sepolcro era lì accanto, ad un centinaio di metri. Più sotto la cupola d'oro, le mille luci della città vecchia e un cielo limpido sopra di noi, pieno di stelle. Abbiamo riaperto la Bibbia, il libro dell'Apocalisse, al capitolo 21: lì vi é descritto il sogno di Dio, che infila la salvezza del mondo, passando per Gerusalemme:

Vidi un nuovo cielo e una nuova terra.
Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio,
pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
Poi udii una voce: "Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio con loro
e tergerà ogni lacrima dai loro occhi;
non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate..."

Pareva di avvertire sommessa la voce di Dio, lo sposo, che parla al cuore della sposa, nella notte, riempiendola del suo dono.
Quelle parole vengono dette al cuore di Gerusalemme, ma sono destinate al cuore del mondo. Pareva anche che le stelle cadessero sopra Gerusalemme, mentre le luci stesse di Gerusalemme sembravano confinare con i territori delle stelle.

p. Leone Tagliaferro