pellegrinaggio in Terrasanta
Date gloria al Signore vostro Dio, prima che venga l'oscurità
e prima che inciampino i vostri piedi sui monti,
al cadere della notte.
Ger (13,16)
Per prima cosa un ringraziamento a tutti i miei compagni di cammino,
a voi che mi avete accompagnato in questo mio desiderio di tornare in Terrasanta.
giovedi 16 aprile 2009 Nazareth
'Shalom' dice l'autista salendo sull'autobus che ci porta a Nazareth: é il primo saluto che si riceve in Terrasanta.
Inizieremo domani il pellegrinaggio a piedi in questa terra spinti dalla fede, un topos che si ripete da duemila anni, ed é una cosa sentita che ripetiamo anche ai nostri giorni. Ecco perché non é un viaggio in Israele o in Palestina, ma in Terrasanta.
Il pulmann corre veloce prima lungo il mare e poi su per le colline della Galilea verso Nazareth.
In questa terra, anche soltanto i nomi evocano emozioni, sentimenti e aspettative. E' ben vero quello che dice lo slogan: é la terra stessa che parla e noi dobbiamo restare in silenzio ad ascoltare.
La luce inonda i paesi e i verdi campi coltivati scorrono alle nostre spalle. In fondo all'arrivo dopo una curva, ecco l'alta collina del Tabor avvolto oggi di nuvole basse; sarà la nostra meta domani.
La Terrasanta é raggiunta. Nazareth, il giardino fiorito, ci accoglie con il suo odore di spezie e oggi per un po' piove.
Giro in questa piccola città schivando le pozzanghere: qui tutto sembra lontano e distante; siamo in Galilea, non si avverte nulla della tensione che ci raccontano i media. La vita che scorre accanto a te é normale. La gente lavora nei negozi, il traffico scorre, tutti guidano suonando.
Questi che vediamo sono tutti arabi dentro i loro piccolissimi negozi, gli ebrei guidano i SUV e abitano in quartieri nuovi in cima alle colline, ormai quasi tutte coperte disordinatamente di case. Nazareth si é sparsa a macchia d'olio.
Non sono riuscito a vedere il luogo dove p. Foucauld é rimasto per 3 anni a servire come giardiniere nell'area dell'ex convento delle Clarisse, era tardi e non mi hanno aperto.
La notte qui cade improvvisa: guardo la parte superiore della basilica della Annunciazione illuminata e mi sembra un faro.
'No' dice Sergio, la nostra guida 'E' un giglio rovesciato e simboleggia la purezza'. Sarà, capisco poco di architettura ma per me é un faro, una luce, un piccolo ricordo della luce che ha visto la Madre di Dio quando l'angelo l'ha visitata.
Siamo a messa nella piccola sotterranea cappella a cupola di Casa Nova e la predica di don Francesco é molto sentita, mi pareva di udire la voce debole dello spirito che parla, che arriva subito al cuore e ci ricorda tutto della infanzia di Gesù e dei suoi inizi, e lo penso qui vicino, giovinetto mentre giocava, o magari nella bottega di Giuseppe ad intagliare con il legno degli uccellini e, presi con ambo le mani, lanciarli in alto e vederli per poi volare via vivi.
Molti, molti anni prima del suo sudar sangue, della consapovolezza della terribile agonia di cui doveva farsi carico.
A sera passiamo vicini alla sinagoga dove Gesù leggendo Isaia afferma che la profezia letta si é avverata.
Lui inizia la missione e noi lo seguiremo a piedi pregando.
venerdi 17 aprile Nazareth - monte Tabor
L'inizio del giorno é un po' cupo, niente vivida luce ma scure nuvole, tardi schiarisce e si mantiene bello.
Siamo per strada presto e passiamo da un luogo all'altro, dove la devozione ha situato i momenti fondamentali dei Vangeli. La fontana di Maria, il luogo
dell'Annunciazione, con le strutture dei primi secoli o di epoca crociata ma oggi disperatamente ricoperti dal cemento portato dalla moderna devozione che deve mediare le celebrazioni di massa con il raccoglimento intimo. Eppure bellissima e ben conservata é la chiesetta ortodossa che contiene la fontana dove la Vergine ha avuto la visita dell'angelo. C'é qualcuno chino in preghiera e non mi sento di fotografare, voglio solo sentire scorrere l'acqua e pensare agli accadimenti di quegli anni.
Siamo diretti a Cana dove arriviamo alle 10.30 dopo un po' di moderno asfalto, qualche svincolo e alcuni semafori. Siamo nella chiesa cattolica che ricorda il primo miracolo di Gesù e dove le coppie possono rinnovare i loro voto matrimoniale. Mi é sempre stato caro questo primo miracolo: qui Dio ci mostra un suo tenero aspetto: non voleva che una festa si guastasse per un po' di vino che mancava, allora trasforma l'acqua e certo avrà scherzato con il capotavola su questo! 'Che te ne pare di questo vino eh?'.
L'amore di Dio é di una umanissima tenerezza. E penso spesso a questo miracolo nei momenti di tristezza perchè abbiamo bisogno di questo Dio nelle pieghe piccole della nostra esistenza: lo vogliamo alle feste, nelle nostre case, accanto al fuoco, insieme nei nostri cammini, vicino alle fontane così che possa trasformare l'acqua della nostra povera vita in vino.
Diciamo le lodi con padre Leone che spiega e prega.
Il piccolo frate custode ci ricorda che oggi é, per gli ortodossi, il venerdì santo e ci porta in una piccola cappella tutta addobbata con fiori e candele che circondano una grossa croce a terra. Ci porta poi nella vicina piccola cappella dedicata a S. Bortolomeo, ma il suo vero nome é Natanaele di Cana. Ci racconta anche della storia evangelica che lo nomina ('Ti ho visto sotto il fico...' gli dirà Gesù) indicando un grande quadro che ritrae il suo martirio: in India sarà spellato e la sua pelle giace ai suoi piedi. Ora mi ricordo anch'io di averlo visto nel dipinto della Sistina con la sua povera pelle tenuta in mano.
Il padre é felice di averci con noi perché non abbiamo nessuna frenesia di salire su autobus, e allora si infiamma nel raccontare la storia di questa cappella circondata dal cimitero.
Anticamente venne eretta dai cristiani una piccola cappella sopra la casa di Natanaele, che fu distrutta nel corso degli anni per edificare una moschea. Ma il sacro ha sempre il sopravvento: nel 1800 un frate francescano riesce a demolire la moschea e costruisce
questa chiesetta poi, per evitare che fosse ancora abbattuta, porta il cimitero attorno.
La proibizione di costruire moschee nei pressi di aree cimiteriali l'ha conservata fino a noi. Il piccolo frate non riesce a contenere la sua contentezza, ne ridiamo di cuore insieme.
Di nuovo lungo la via sotto l'assedio continuo dei mercanti, che vendono l'autentico vino delle nozze di Cana (non ce lo siamo fatto mancare!), i venditori di souvenir religiosi, i produttori di rosari di ulivo, i laboratori dove si lavora il legno, tutta gente che vive in pace e vorrebbe continuare a farlo senza problemi.
Salam e shalom, pace a noi tutti.
Compriamo pane e biscotti in un panificio e li mangio con l'uovo sodo che mi porto da 3 giorni e siamo attorniati da decine di bambini curiosi, e poi via lungo la strada che prima é asfaltata e poi sterrata ed infine diviene un sentierino che punta sul Tabor.
E' verdissimo ed é un perfetto cono solitario. Lungo la via Marino Giulio e io proseguiamo lungo una debole traccia di sentiero che taglia dei reticolati, pensando di ritrovare la strada poco avanti, ma non é così e perdiamo il contatto con il gruppo. Ma ci basta guardare avanti e il Tabor ti indica la meta. Li ritroveremo più avanti mentre sostano in un 'magreb restaurant' vuoto chiuso ma assolutamente aperto nel villaggio alla base del Tabor.
Più avanti sosta con spremuta coca e gelato nell'immancabile bar a guardia del parcheggio dei bus in mezzo alla calca di turisti filippini che subito scompaiono nel bus con aria condizionata; é troppo caldo anche per loro.
Il ripido sentiero attacca il monte decisamente diritto, sono circa 500 m. L'arrivo é in mezzo agli ulivi, ma stranamente non riusciamo a trovare il cancello d'uscita e allora scavalchiamo il muro che cinta la chiesa degli ortodossi greci e ci fermiamo per godere del panorama.
La giornata volge al termine quando passiamo la Porta del Vento, si alza un venticello fresco ma siamo già in basilica dove ci aspetta per le messa p. Leone e don Francesco. Anche qui la cappella é tutta un mosaico dorato e, l'ultima luce che entra, ci illumina con bagliori d'oro. La riflessione di p. Leone sulla trasfigurazione ci ricorda che solo qui, in mezo ai suoi, Gesù si é dichiarato Figlio di Dio.
Siamo accolti da tre hospitaleros bresciani della
comunità Mondo X
che aiutano i tre frati in tutte le incombenze. Sono gentili premurosi e attenti ai nostri desideri e ci preparano spaghetti e poi insalata e non ci fanno mancare il vino. Siamo in una grande sala con una vista stupenda nella bassa campagna punteggiata da laghetti.
E' stata oggi una tipica e unica giornata regalata a chi si mette in cammino, a chi é aperto a tutti i doni della strada e, alla fine di questa, siamo accolti. E via via che arriviamo vicini alla meta i pensieri vanno al senso di dipendenza dall'altro, alla necessità del suo aiuto, al bisogno che ce lo fa sperare amico e compagno, a come questo prossimo sia una necessità per il nostro esistere.
Abbiamo ritrovato qui il gruppetto di vicentini che abbiamo visto ieri. Loro non si fermano come noi due giorni a Tiberiade ma proseguono.
sabato 18 aprile monte Tabor - Tiberiade
C'é nebbia fitta stamane alle 7 e il paesaggio é diventato latte. Chi ieri aveva lavato i panni e li aveva stesi ad asciugare oggi li trova ancora bagnati.
Il sole tarda ma si farà sentire nel corso della giorno.
Decidiamo la discesa lungo la strada asfaltata per desiderio di padre Leone, cosí é meglio, non ci bagniamo e non scivoliamo.
Profumo di resina, uccelli colorati, macchie di ginestre, punture di ibisco ci
accompagnano lungo la discesa mentre il sole piano piano dirada la nebbia e la luce si diffonde anche nella valle.
Attraversiamo una distesa di campi coltivati: questo é prezzemolo, quello é grano, ci sono anche cipolle e ognuno ha il proprio colore e fiore. La strada é lunga, il sole adesso é alto e ben vivo, c'é il vento che lo mitiga, poco traffico, oggi infatti é sabbath e disperiamo di trovare qualcosa di aperto.
A Giv'at Avni ci fermiamo in una piccola rotonda con poca ombra per una piccola merenda ma sopratutto perché il caldo si fa sentire. Decidiamo di non visitare Lavi con il suo kibbutz ma di proseguire per Tiberiade. Ci sono qui decine di kibbutz che testimoniano l'unica utopia realizzata del '900, con la nascita di un nuovo sistema di vita, dopo secoli di abbandono la terra si é ricoperta di coltivazioni e di fertili campi.
Camminiamo paralleli alla strada, i nuovi capannoni industriali hanno costretto a sbancare le piccole vie parallele alla strada principale e questo ci costringe a continui salti del guard rail. Ecco un centro commerciale oramai in vista delle prime case e ha un bar aperto!
Ormai siamo a Tiberiade, ma dobbiamo andare nella città vecchia, quella bassa a livello del lago e c'é ancora strada da fare.
Ci appare improvviso a sinistra il 'mare di Galilea'; Gesù lo conosceva bene, certo ha percorso tutti i suoi i sentieri e quello che abbiamo fatto noi oggi ce lo fa sentire contemporaneo. E' una sensazione forte, coinvolgente per tutti questo paesaggio visto anche dal Figlio di Dio. Ce lo ricorda ancora oggi don Francesco non senza commozione, durante la messa serale nella piccola chiesa di S. Pietro.
E' stata una dura tappa: io sono inciampato ed ho qualche ferita con cerotti, padre Leone ha un po' di febbre e Isaia per un istante non é riuscito ad alzarsi dal banco per la comunione.
A sera padre Leone si mette a letto. Noi passeggiamo lungo la riva, ci imbeviamo del fascino del luogo, quasi non vediamo la brutta barca fatta con cemento sul molo.
Avremmo voluto fare una traversata del lago in barca ma non si attracca se non da dove si é partiti; non ne vale la pena. A cena ne parliamo, siamo un po' delusi, ma Sergio ci ricorda che il Maestro aveva profetato che non sarebbe rimasto nulla dei villaggi che non lo hanno riconosciuto messia.
Guardo allora attorno al lago e non ci sono luci se non rade e solo nelle alture. Nulla a livello delle acque. Poco lontano ormai in mezzo alle luci scivola lenta la barca di Pietro mentre noi aspettiamo il famoso pesce di S. Pietro.
La notte é serena e il lago é liscio e tranquillo, ma quest'acqua era scossa dal vento di tempesta e la barca, la Chiesa insomma tutti noi che poniamo in Gesù la nostra piccola fede e la nostra fiducia, guidati da lui avanziamo con sicurezza fra le tempeste di questo mondo verso "l'altra riva".
Facci arrivare all'altra riva salvi, Signore: solo tu hai il potere di calmare con una parola le nostre tempeste spirituali, le calamità naturali, le guerre e tutto quello che ci distrugge moralmante.
Arriva il pesce, ha molte spine e un leggero sapore fangoso come per tutti i pesci di lago, ma per me é straordinario pensare che anche il nostro Dio risorto lo mangia arrostito e invita i suoi ammutoliti amici a fare altrettanto.
Signore, nulla ci manca ed é squisito se tu sei con noi!
domenica 19 aprile Tiberiade - Tabgha - Cafarnao - Tiberiade
Dopo la strada di ieri oggi questo sherut (taxi collettivo) é molto apprezzato da tutti e ci porta a Tabgha, la parte più a nord del lago di Tiberiade.
Non mi aspettavo un luogo così dolce e affascinante. Erba verde e prati morbidi, il vento leggero profuma di cannella e zagara, muove i rami dei palmeti e fa ondeggiare i rami fioriti dei melograni. Sullo sfondo a poca distanza l'acqua scintilla al sole e di lato alcuni limpidi ruscelli gorgogliano felici fra i sassi mentre sfociano nel lago.
Uccelli colorati e rondoni giocano con il vento intorno a noi. Il luogo emana un senso di profonda bellezza e intensa serenità, ha ospitato anche se per poco, il suo creatore, il Signore del mondo. Scendo piano la via, entro nella piccola chiesa del primato ecco la 'mensa christi', la pietra in cui si sono poste le cesta dei pani e dei pesci rimasti dopo il miracolo della loro moltiplicazione. Per tutti il cibo é abbondante e il Signore fa raccogliere i resti, perché nulla sia sprecato.
Sotto un padiglione aperto, con lo sfondo un mosaico che rappresenta papa Paolo VI chino ai piedi di un Gesù che abbraccia un Pietro, intimorito nel riconoscere il Maestro risorto, padre Leone e don Francesco celebrano la messa. E' la più significativa e sentita che abbia mai provato. Certo il Figlio di Dio predilige questo posto, e forse la presenza dell'acqua lo ha mantenuto molto simile a quel tempo.
Vado verso riva: alcuni pescatori con una piccola rete chiudono l'acqua verso terra poi, dentro il cerchio della rete, muovono i sassi e il pesce impaurito finisce sulla rete. Il lago é ricco e ne hanno già pescati un fondo di sacco. Mi tolgo le scarpe, entro nell'acqua e resto a guardare, il senso di calma e bellezza vale il viaggio, e le sue fatiche annullate. Alcuni piccoli iraci si muovono pigri nelle rocce rosse, p. Leone me li indica e poi siamo al riparo dal sole sotto un albero frondoso, lo raggiungo e restiamo in silenzio.
Ci sono luoghi in cui lo Spirito soffia.
Dopo pochi chilometri, a piedi siamo a Cafarnao. Qui é la casa di Pietro, piccola fatta di grossi sassi ha rientranze nei muri come di mensole, la porta é appena fuori centro, certo il tetto doveva essere semplice e lieve, fatto di piccole assi e canne se poteva essere facilmente scoperchiato.
Tutto questo lo si vede dal pavimento trasparente di una nuova chiesa che gli incombe sopra. Allora questa casa era circondata da storpi ciechi e da tutti quelli che volevano sentire la nuova parola detta con grande autorità; oggi noi siamo la folla sopra il tetto, curiosi a ma anche timorosi di quella parola che si é incarnata. Non c'é molta gente, qualche passo ed ecco la sinagoga di Cafarnao.
E' vasta rispetto al piccolo paese, almeno per il recinto che ancora si conserva. Questo luogo era, al tempo di Cristo, importante per le carovane che provenivano dalla Siria: c'era un banco per l'esazione delle imposte e un presidio di soldati romani. Forse per questo é stata scelta da Gesù e viene così spesso citata nel Vangelo.
E' qui che accadono moltissimi miracoli...ma pure non é stato riconosciuto e la folla sanata non lo seguirà. La fede illuminerà invece un semplice centurione, un pagano, qualcuno venuto dall'occidente, forse il primo dei molti che realizzeranno la profezia (Mt 22.33).
Noi ci sediamo all'ombra e leggiamo brani del Vangelo, poi la storia romanzata di Pilato letta da Bruno mentre dei gatti malconci ci vengono vicini per avere qualcosa da mangiare. Andiamo poi alla vicina chiesa delle Beatitudini, dopo esserci fermati per un gustoso gelato o un piatto di verdura.
Si sale lungo un sentiero che parte dalla strada e scorre in mezzo a un bananeto. Nel mezzo ci sono delle tende e nella tenda il lieve bagliore di un televisore acceso. I lavoranti ci salutano: un occhio a noi e uno al televisore. Sotto l'ombra di ampi alberi leggiamo insieme il Vangelo di Marco sulle beatitudini.
E' partito da qui il messaggio dirompente di fare agli altri quello che vorremo fosse fatto a noi, di avere attenzione agli ultimi.
E' qui che ha comandato di mettere in pratica questi comandamenti minimi in sostituzione degli antichi comandamenti di Mosè. Se fosse realizzato questo, anche se in minima parte, avremmo una società libera, rispettosa delle diverstà, solidale e non autoritaria, insomma ben diversa da quella che viviamo.
E i pulmann scaricano ancora persone che amano risentire questo, vogliono sincerarsi che sia stato detto così proprio qui.
Mi dice Paolo: 'Sì, belle parole, ma c'é moltissima gente che soffre la fame'.
Non so rispondere subito e fa caldo, bevo un sorso di coca ma... se in questo luogo é avvenuta la rivelazione cristiana, allora Dio ebbe pietà della folla perché voleva sentire la sua parola, e lo seguiva senza pensare al cibo così vennero sfamati miracolosamente. Temo che oggi la pietà Divina sia meno sentita da noi, perché la fame non nasce da una forte preferenza per la parola di Dio ma dal suo rifiuto. E se anche decidesse di sfamarci, ecco che vorremo farlo re ed Egli si ritirerebbe solo sul monte. Si allontanerebbe da noi, vuole essere amato liberamente. Non resta che rispettare la Sua libertà come Lui rispetta la nostra con il suo amore incomprensibile anche se questo a volte ci rende disperati.
Il gruppo dei vicentini é ospitato nella foresteria della chiesa dei pani e dei pesci a Tabgha e ci invitano alla visita. E' dei benedettini tedeschi e accettiamo perché stamane era chiusa.
Entriamo per un portoncino: c' é odore di incenso e i frati sono in cerchio ai lati dell'altare mentre cantano i vespri, il lampadario rotondo li sovrasta e ha accese tutte le luci e sono come piccole fiammelle di presenza dello spirito.
Il chiostro rimbalza l'ultima luce del giorno, e in cielo volteggiano garrendo le rondini.
Paolo Tiveron